Alfa 75 o “Milano” per il mercato USA e per lo stesso mercato nel 1987 l’affiancò il modello “America” con il motore 3.0 V6 chiamato affettuosamente “Busso” in onore del suo costruttore, l’ingegner Giuseppe Busso che lo realizzò nel 1979, un motore che visse per ben 27 anni fino al 2005 (tre giorni dopo vennero tumulate le esequie del suo creatore).
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Arriva la Fiat
Quel motore lo montava L’Alfa Romeo 75 (ma anche l’Alfa 90 prima e l’infelice Alfa 6 prima ancora) sul modello Quadrifiglio Verde a partire dal 1985 (la 75 uscì di produzione nel 1993) e proprio la 75 secondo i puristi fu l’ultima vera Alfa Romeo prima che passasse alla Fiat nel 1987: progettisti e ingegneri sapevano che da lì in avanti la logica industriale avrebbe richiesto una cura dimagrante per massimizzare la produzione in serie e proprio il suono del 3.0 V6 dell’Alfa 75 America, il top della gamma, fu in un certo senso il canto del cigno prima delle economie di scala che di lì a poco si sarebbero concretizzate.
La 75 fu anche l’ultima Alfa a trazione posteriore (la 155, l’erede, era a trazione anteriore) e a trazione anteriore furono tutte le Alfa prodotte fino al 2013. Chiaro dunque che la 75 sia diventata uno spartiacque ma anche una pietra miliare.
Era l’erede della Giulietta e il numero 75 stava a indicare il 75esimo anniversario del Biscione allo scoccare del maggio 1985; l’anno dopo venne presentata al Salone di Ginevra. La 75 fu un buon successo commerciale, ne vennero vendute 386.773 unità e tutti ne riconoscevano la brillantezza di guida e le prestazioni, soprattutto in riferimento al V6 “Busso”, il cui sound gli appassionati descrivevano come un sommelier descriverebbe un vino: personale e rotondo.
La disegnarono al Centro Stile Alfa Romeo allora guidato da Ermanno Cressoni e il risultato fu una linea che tutti dicono a cuneo ma su cui chi scrive preferisce soprassedere perché, a cuneo, lo era la Lamborghini Countach.
Bella era bella, ma quei labbroni
La 75 nasceva nel periodo di ristrettezze economiche che avrebbe portato l’Alfa sotto l’ala Fiat. Il budget risicato non permetteva ai designer di avere carta bianca sul nuovo modello, quindi si optò per disegnare una nuova carrozzeria sulla base motoristica e sull’ossatura del modello precedente, la Giulietta, che a sua volta ereditava pianale e motori dall’Alfetta. La meccanica seppur datata era molto raffinata e soprattutto collaudata, una base solida per determinarne un discreto successo.
Una delle caratteristiche estetiche della 75 era il “labbro” sul posteriore che si integrava con la modanatura di plastica che correva lungo le fiancate che si accompagnava alle finiture degli interni squadrate e massicce come solo potevano esserlo nei formidabili anni 80; ma gli estimatori lodavano la levità e maneggevolezza del volante.
Tu vuò fà l’americano
Mentre per quanto riguardava quelle cose che piacciono a motoristi e meccanici con le mani nere di olio, la 75 montava propulsori a quattro cilindri bialbero nelle versioni rispettivamente 1.6 (110 cv – 180 Km/h), 1.8 (120 cv – 190 Km/h, 2.0 (128 cv – 195 Km/h) e 2.0 turbodiesel con l’imbarazzantissimo (in lingua italiana) intercooler (95 cv – 175 Km/h). Ai piani alti c’era il 2.5i V6 per la Quadrifoglio Verde (156 cv – 205 Km/h) e al top della gamma il già citato 3.0 V6 per chi voleva fà l’ammerrecano (l’Alfa 75 America, con i catarifrangenti obbligatori per il mercato USA, aveva 188 cv e arrivava a 220 Km/h).
Nannini, Larini, Thiim, dal Superturismo al DTM
Oltre naturalmente al famossissimo propulsore 2.0i Twin Spark, c’erano anche le versioni Turbo (lo slogan: “finalmente il turbo si merita un’Alfa Romeo”) con la 75 1.8i Turbo, da cui sarebbero derivate poi le versioni Turbo America, Turbo Evoluzione, tamarrissima e perfetta per il Campionato Superturismo (guidarono una 75 Alessandro Nannini, Nicola Larini e Giorgio Francia, nel DTM Kurt Thiim) e Turbo Quadrifoglio Verde.
La Superstar fra Dracula e Mary Poppins
Fatta in economia sull’ossatura della Giulietta (l’Alfa Romeo non se la passava bene e per questo lo Stato, che ne era proprietario tramite l’IRI guidata da Romano Prodi, la vendette alla Fiat, non senza polemiche per il rifiuto dell’offerta Ford), la 75 divenne tuttavia una certa superstar e infatti proprio “Alfa 75 Superstar” si intitolava il corto in cui la vettura si presentava come un attore negli studi di Cinecittà (e infatti venne girato proprio lì, ma anche a Spoleto), perdendosi sui set dei film in lavorazione e incontrando personaggi come James Bond, Dracula e Mary Poppins:
Era tutta spigoli, i brigatisti rossi se l’avessero vista ne avrebbero descritte le linee come “geometrica potenza” e nemmeno i gruppi ottici si salvavano dalla selva di angoli, trapezioidali davanti e dietro.
La coda era massiccia e la visibilità posteriore in fase di parcheggio non era delle migliori, mentre sul bagagliaio spuntava quel “labbro” che evidentemente piaceva tanto a chi era privo di senso estetico. Ma affascinante lo era e recentemente Davide Cironi le ha ridato nuova vita estraendola da un pollaio.