Auto-Storia: i modelli più significativiCinema e Motori

Lamborghini Countach, un’icona del design e del cinema: cioè un’icona pop

La mitica sportiva disegnata da Marcello Gandini ha fatto la storia dell'auto. Ed è stata una superstar anche al cinema

Dopo aver visto Il Bandito e la madama, avendo nostalgia del grande Burt Reynolds abbiamo visto La corsa più pazza d’America (The Cannonball Run, 1981). Stesso regista (Hal Needham), stesso attore ma macchina diversa: una Lamborghini Countach LP 400 S, nera, che nelle prime inquadrature monta una specie di spoiler anteriore e dei fendinebbia che la rendono inopportunamente ignorante, ammennicoli che però durano solo per i titoli di testa, perché nel resto del film la Countach recita come mamma l’ha fatta.

La Lamborghini Countach LP 400 S del film è inopportunamente orrenda: ma solo nei titoli di testa.

E anche le due donzelle che la guidano, nel film recitano (quasi) come mamma le ha fatte. In effetti il grande Burt, se nel Bandito e la madama guidava una Pontiac Firebird Trans Am, qui nella Cannonball (la Cannonball Run, esistita per davvero negli anni 70 e organizzata da Steve Smith, editore della rivista Car and Driver) insieme agli altri “cannoballisti” (pronunciati così dai vari personaggi del film) fa il passeggero in un’ambulanza Dodge Tradesma.

Altro che Pontiac Firebird Trans Am!

Se Burt Reynolds è la star in carne e ossa, la primadonna carrozzata è lei, la Lamborghini Countach LP 400 S guidata da Tara Buckman e Adrienne Barbeau, altrettanto ben carrozzate. Per la cronaca, Adrienne Barbeau, che delle due è quella che, ehmmm, “si espone” di più, diventerà di lì a poco la moglie del regista John Carpenter.

La Countach del film è un’evoluzione del 1980, chiamata Countach LP 400 S, costruita in 105 esemplari dall’azienda di Sant’Agata Bolognese, equipaggiata con il motore Dallara V12 4.0 litri (da qui il numero “400” del nome, mentre LP sta a indicare la posizione del motore, longitudinale posteriore) da 374 cv ed è solo una delle tante serie cui il modello andò incontro.

Suo papà era anche il papà della Miura – e di altra prole

Nacque nel 1971 e gli ultimi esemplari vennero prodotti nel 1990, con la serie “Ventesimo anniversario”: da lì fu poi il turno della Diablo, ma il muso a cuneo per cui divenne famosa nel mondo era il suo. La progettò Paolo Stanzani e la disegnò Marcello Gandini, il papà della Miura, dell’Alfa Romeo Montreal, della Fiat X1/9 e della Lancia Stratos, allora designer della Bertone.

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Lo stile della Countach, con le celeberrime portiere che si aprono “a forbice” (un’innovazione che allora avevano visto solo in pochi e per la prima volta sull’Alfa Romeo Carabo, disegnata anch’essa da Gandini), l’ha resa una delle sportive più iconiche della galassia: larga e bassa, piantatissima con quelle linee angolari che allora la facevano molto futurista (altro che Delta Futurista!) e quei fari a scomparsa che ahimè non possiamo più vedere causa stupide leggi sulla sicurezza, era la macchina perfetta per fare un po’ di cinema e farsi guardare dalla plebe.

CC BY-SA 3.0, commons.wikimedia.or

I primi modelli, almeno fino alla bellissima Countach LP400 Coupe Periscopio del 1975, erano veramente sobrii, levigati, privi di appendici. Poi, con gli “edonisti” anni 80 (ma siano BENEDETTI quegli anni!), le innovazioni stilistiche iniziarono a renderla un po’ ignorante o tendente all’ignoranza, vedi ad esempio l’alettone sul posteriore. Ma del resto chi da infante la vide per la prima volta nel film La corsa più pazza d’America, oltre alle premature turbe ormonali causate dalle due zocc…ehmm dalle due fanciulle che la guidavano, provò anche cosa quella ossessione estetica per certi modelli di sportive (automobili, non fanciulle).

Sette versioni, sette vite come i gatti

Sette le versioni (sette vite come i gatti), di cui la primissima, unico esemplare esistente al mondo, venne presentata al Salone dell’automobile di Ginevra nel 1971, ma venne sacrificata nel crash test di omologazione; le altre due, presentate nel 1973 al salone di Ginevra e a quello di Parigi rispettivamente, anticipavano quella che sarebbe stata la produzione in serie, ad eccezione dei finestrini laterali che in quelle due versioni pre-serie, non erano “tagliati” come invece lo sarebbero diventati nella produzione in serie (altra chicca di Gandini insieme all’apertura delle portiere “a forbice” di derivazione Carabo, come abbiamo detto).

La primissima versione della Countach venne sacrificata nel crash test di omologazione
Di Stahlkocher – User created, CC BY-SA 3.0, commons.wikimedia.org

La prima versione della produzione in serie si chiamava LP400 (come già detto, 400 sta per la cubatura e LP per la posizione del motore, longitudinale posteriore) e “visse” dal 1974 al 1977, si chiamava “Periscopio” e la sua caratteristica era il “taglio” sul tetto per fare spazio allo specchietto retrovisore a periscopio, appunto, specchietto che fu abbandonato durante la produzione in serie ma che fece rimanere attaccato a questa versione della Countach il soprannome Periscopio.

Countachinfo.de, CC BY 3.0 creativecommons.org, via Wikimedia Commons

Occhio alle rampe!

La seconda serie venne introdotta nel 1978 fino al 1982 (è la Lamborghini della Corsa più pazza d’America, la LP 400 S) e fu “divisa” in tre “sotto-serie”, cioè la S1, la S2 e la S3: se guidavi una delle prime due dovevi stare attento alle rampe dei box, perché lo spoiler anteriore era rasoterra, se invece guidavi una S3 potevi stare più tranquillo perchè era…più “alta” (con tutto quel che poteva voler dire questo aggettivo su quella macchina). La gommatura era estrema e i cerchi erano i bellissimi Campagnolo lisci in magnesio, che avremmo continuato a rivedere più o meno inalterati sulle serie degli anni successivi.

Di Mr.choppers – Opera propria, CC BY-SA 3.0, commons.wikimedia.org

Dal 1982 e fino al 1985 circolava per le strade invece la Countach LP5000S, la prima ad accensione elettronica: la cilindrata saliva a 4.754 cm³, la cavalleria aumentava (375 cv) e la velocità pure (290 km/h). E compare l’alettone tamarro.

Lamborghini Countach LP 5000S (built 1983), seen at Concours d’Élégance in Mondorf-les-Bains, Luxembourg, di Palauenc05

L’alettone non serviva a una mazza

1985: la Ferrari Testarossa fa saltare il banco e occorre prendere in mano la situazione. E’ la volta della Countach 5000 Quattrovalvole: la cilindrata aumenta a 5.167 cm³, i cavalli diventano 470 e c’è la novità delle quattro valvole per cilindro e dei sei carburatori verticali Weber 44 DCNF montati sopra al motore, soluzione che, insieme all’elettone, non ti fa vedere un cazzo in retromarcia. Non serve a niente (parola dell’azienda), è solo un’appendice che piace tanto ai clienti. E nel 1987 appaiono anche le minigonne.

La Lamborghini Countach in fibra di carbonio

E, a proposito di tamarrate, nel 1988 è la volta della Countach in fibra di carbonio: se dici “fibra di carbonio” dici “Horacio Pagani” e infatti questa versione della Countach porta il suo nome aggiuntivo: all’epoca il futuro inventore della Zonda lavorava proprio a Sant’Agata Bolognese.

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E così arriviamo ai titoli di coda: 1990, gli ultimi bagliori della Countach, di lì a poco darà il passo alla Diablo. La Countach 25º Anniversario è un’icona del design, del cinema, del popolo: un’icona pop, se non fosse per il prezzo. Mostra ora una potenza irrefrenabile, le linee sobrie della Periscopio sono un ricordo, è piena di spoiler, minigonne, gomme larghe, è veramente una “virago”, una guerriera con le palle.

Valder137, CC BY 2.0 creativecommons.org/licenses/by/2.0, via Wikimedia Commons
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Emanuele Beluffi

Giornalista pubblicista, già responsabile di redazione presso Il Giornale OFF, spin off culturale del quotidiano il Giornale, editor di CulturaIdentità, conservatore presso Fondazione Sangregorio Giancarlo.

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