Quando vado a Modena butto sempre un occhio al parcheggio di Campogalliano adiacente l’autostrada e penso alla Bugatti, quando da italo francese era diventata italiana con la sede lì. E in particolare penso alla Bugatti EB 110.
Un passo indietro: è vero che se dici Bugatti dici Ettore Bugatti, che fonda la Automobiles Ettore Bugatti nel 1909 in Alsazia a Molsheim, ma la storia della EB 110 è la storia dell’impresa di Romano Artioli, che nel 1987 compra, con la società Autexpò Gmbh, il marchio da Messier-Hispano-Bugatti e, con il 35% di Paolo Stanzani (già papà di Espada, Jarama, Urraco e Countach e che nel 1990 molla la presa per disaccordi con l’azionista di maggioranza, Artioli appunto) lo fa risorgere dalle ceneri dopo la cessazione della produzione nel 1963.
La Bugatti EB 110, costruita a Campogalliano e disegnata da Giampaolo Benedini (ma il prototipo lo disegna Marcello Gandini), viene presentata il 14 settembre 1991 a Place De La Défense a Parigi alla presenza di un elettrizzato Alain Delon e il 15 a Molsheim, dove nasce la Automobiles di Ettore Bugatti: quel giorno ricorrono il 110 anniversario e la nascita del fondatore, da qui l’acronimo EB 110 GT per la nuova supercar made in Campogalliano.
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Bugatti EB 110, chi osa vince (?)
E’ il 1991 e la Bugatti EB 110 è la prima auto stradale costruita intorno a te come la nota banca italiana, anzi attorno a una monoscocca in fibra di carbonio. La scommessa è di Paolo Stanzani prima e di Nicola Materazzi poi, che ne raccoglie il testimone: chi osa vince e quel giorno Place de la Défense diventa la cornice, addobbata da Renata Artioli, in cui un elettrizzato Alain Delon svela al mondo la realizzazione di un sogno, quello di Romano Artioli che ha fatto costruire apposta uno stabilimento a Campogalliano e quello di pochi fortunelli che possono comprarsi la sua Bugatti EB 110.
E’ un mostro (nel senso classico del termine) che può fare le scarpe a Lamborghini Diablo e Ferrari F40: 12 cilindri a V (chiamato FL12, da Ferruccio Lamborghini) da 3,5 litri con monoblocco e testate in lega leggera, 2 alberi a camme in testa per ogni bancata e 4 turbocompressori per 560 cv, sospensioni a quadrilateri, quattro ruote motrici con tre differenziali e freni Brembo ventilati con pinze a quattro pompanti. E’ la più veloce del mondo, tocca i 336 km/h ma ad Artioli non bastano ed ecco che subito dopo arriva la EB 110 Super Sport: 612 cv, sempre motore V12 da 3,5 litri, pesa 150 Kg in meno della sorella, 0/100 in 3,2 secondi, 350 km/h, cambio manuale a sei marce e trazione integrale.
Di EB 110 GT verranno costruiti 123 unità , mentre di Super Sport ne faranno solo 36, ma c’è chi dice che siano ancora meno, 31. Le ingenti spese di produzione e gli investimenti per il prototipo EB 112 mai prodotto in serie causano un dissesto finanziario dell’azienda, che nel 1995 chiude i battenti. Imprenditori troppo sognatori, forse. Non è la prima volta che ce ne accorgiamo, vedi Cizeta.
Fu una vittoria? Chi osa vince davvero? Se devi chiudere un’azienda perché i costi di produzione non compensano quelli di vendita forse anche no. Forse è il caso di sfatare certi miti, se non automobilistici certamente imprenditoriali.
Volete una Bugatti EB 110? E una c’è: Bugatti EB110 Super Sport del 1993, in vendita presso la concessionaria Fort Lauderdale Collection South, in Florida, numero di motore 0026, 3.393 km all’attivo, colore grigio, interni navy, scambio con Fiat Duna quasi nuova.
Anche a metano la EB 110 era la più veloce
Oppure da qualche parte potete trovare quella Bugatti EB 110 blu a metano, prototipo segretissimo che però nel 1992 qualcuno è riuscito lo stesso a fotografare: quell’anno un esemplare della EB 110 GT viene modificato per l’alimentazione a metano. La potenza del motore arriva a 650 cv grazie al maggiore numero di ottani espresso da metano rispetto alla benzina e sul circuito di Nardò in Puglia tocca i 344,7 Kmh: è record mondiale di velocità con una vettura di serie alimentata a metano ed omologata per un uso stradale, chissà se qualcuno oggi a Bruxelles lo sa. Ma ci hanno già pensato lo stesso: l’eliminazione dei motori termici non riguarderà le supercar e, quanto al carburante eco-compatibile, materia su cui l’Italia ha molto da insegnare agli altri, la partita è ancora aperta. Ma noi dovremo continuare a tenerci la nostra Duna.