Essere all’altezza del padre non è sempre facile, lascia un’eredità ingombrante che quasi mai sopravvive ai fasti del tempo che fu. La stessa cosa accade con certe automobili, come la Renault Alpine A310, che sostituì la A110 facendola rimpiangere: non era una macchinaccia, ma fare i conti con un campione del mondo era impresa improba. Infatti nel 1973 la A110, che rimase in listino fino al 1977, vinse il Mondiale Rally e il pubblico percepiva la A310 come une versione “diminuita” della Berlinetta.
LEGGI ANCHE: Alpine A110, il fascino retrò di una sportiva d’artista
In questo articolo
Alpine A310, dalla A110 alla…Porsche??
Ma con la A310 Jean Rédélé, pilota e titolare dal 1955 della Alpine (che poi nel 1973 venne acquisita dalla Renault) voleva fin dall’inizio dare la biada nientemeno che alla Porsche e per questo si era avvalso della collaborazione dei fenomeni dell’epoca, Yves Legal e Roger Prieur per il design (ma i primissimi schizzi li fece Marcel Beligond) e Mauro Bianchi e Alain Serpaggi per la meccanica: la macchina fatta e finita venne presentata al Salone di Ginevra del 1971.
il minimo che si può dire è che le linee della A310 erano tutt’altra cosa rispetto a quelle della A110: là sinuose, morbide, tondeggianti, qui rigide, geometriche, spigolose, con il frontale munito di una corazzata da sei fari allo iodio e il posteriore a zero visibilità grazie (o per colpa) a un lunotto tappezzato a tegole tipo Lamborghini Miura e i finestrini a francobollo, con i fari in posizione molto ribassata.
Oltre la Berlinetta c’è la GT, la Alpine A310
Ma rispetto alla A110, dentro, al posteriore, ci si stava bene: la A310 aveva guadagnato in volume e quindi in comfort e il resto dell’equipaggiamento si presentava notevolmente arricchito rispetto al modello precedente. La A310 era una Gran Turismo vera e propria, sportiva ma adatta anche ai lunghi viaggi, tant’è qualcuno la chiamava “la A110 del padre di famiglia” e infatti era stata progettata per raggiungere un pubblico più ampio rispetto a quello della Berlinetta.
Il neo, a detta dei puristi, era il motore, un quattro cilindri di 1600 cm3 che consumava poco ma non era prestazionale come quello della A110, che proprio per questo venne preferita. Un altro limite della A310 era il peso, 200 chili in più e questa cosa, sempre per i succitati puristi, aveva….il suo peso: non sempre la Porsche dei poveri si rivela una mossa strategica.
Due cilindri in più, due fari in meno
La A310 era inizialmente alimentata da un motore in posizione longitudinale posteriore a quattro cilindri 17TS/Gordini con una potenza di 125 cv, ma nel 1976, con il restyling ad opera di Robert Opron (la linea continua dei gruppi ottici anteriori venne interrotta con fari separati in 2 blocchi da 2) la vettura venne dotata del nuovo e più potente motore V6 PRV da 2664, 149 cv e 220 km/h: questo nuovo propulsore, frutto di una collaborazione tra Peugeot, Renault e Volvo, permise all’A310 di competere con auto della stessa categoria e di guardare un po’ più da vicino l’Olimpo delle supercar, in questo soddisfacendo l’ambizione iniziale di Jean Rédélé. Due cilindri in più, due fari in meno ed ecco quel propulsore che la A310 avrebbe “dovuto” montare all’inizio.
La A310 ebbe un grande successo nel motorsport francese Gruppo 4. Nel 1977 Guy Frequelin vinse il campionato francese di rally su una Alpine A310-V6. Nel 1982 la versione GT dell’A310, che fece la sua comparsa al Salone di Ginevra del 1981, riscosse un forte interesse. I modelli successivi dell’A310 furono disponibili con questa opzione GT Pack ispirata alle auto da corsa Group4 A310. Il V6 venne irrobustito a 2849 cc spingendo la potenza della macchina a 193 cv. La produzione terminò nel 1984, quando iniziò quella della sua erede, la Alpine GTA (to be continued…)