Mini John Cooper Works, macchina e stirpe very british

Se dici Mini dici Cooper: "Per tutta la sua vita John Cooper raccontava sempre la storia allo stesso modo..."

La Mini John Cooper Works è la versione pepata delle versioni di punta della Mini, nata con un kit di elaborazione montato dalla John Cooper Works

L’avevamo vista la prima volta nel 2003 con Charlize Theron e Donald Sutherland nel film The Italian Job di F. F. Gary, remake del cult Un colpo all’italiana del 1969, dove una banda di ladri inglesi rubava un carico di lingotti d’oro destinato alla Fiat e fuggiva per le vie di Torino su tre Mini Cooper S, una bianca, una rossa e una blu, equipaggiate con il kit di elaborazione John Cooper Works.

LEGGI ANCHE: Che fine ha fatto la Lamborghini di “The Italian Job”?

Ma se è vero che la prima volta non si scorda mai, è altrettanto vero che con gran fervore l’abbiamo rivista 21 anni dopo, inizio giugno 2024, quando la nuova Mini John Cooper Works ha debuttato alla 24 Ore del Nürburgring a sessant’anni dalla vittoria della Mini Cooper S al Rally di Monte Carlo. E dalla pista alla strada, per l’anteprima mondiale in autunno 2024, il passo è breve.

E a proposito di passi, facciamone uno indietro: John Cooper Works (JCW) è un marchio inglese, nel 2008 passato a BMW, fondato nel 2002 da Michael Cooper, figlio di John Cooper (17 luglio 1923 – 24 dicembre 2000), tra i fondatori con il padre Charles della Cooper Car Company nel 1947.

Foto di Thomas Neubauer da Pixabay

Le Mini Cooper (e le Mini Cooper S di cui sopra) storicamente vengono da lì, rispettivamente dal decennio 1961–1971 per la Mini Cooper e dal decennio 1990–2000 per la Cooper S, che sono le versioni più pepate della mitica Mini prodotta dalla British Motor Corporation e dai suoi successori dal 1959 al 2000 in versioni fastback, vagonata e cabrio.

Chris Yarzab via Flickr
Alessandro Migl, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

E su cui John Cooper Works ha messo le mani, realizzando le versioni spinte di quelle che già sono le versioni di punta della Mini, marchiate JCW: John Cooper Works appunto.

Vauxford, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons
elautoperfecto.net

Mini John Cooper Works, quella col viagra

Matti Blume, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

La primissima Cooper S marchiata JCW  arriva nel 2003 sotto forma di kit di preparazione: non ordinato in fabbrica, ma montato successivamente dal concessionario Mini o dalla stessa John Cooper Works nel West Sussex.

Roba da ricchi? Forse. Tuttavia, già dalla fine del 2005 la Cooper S diventa ordinabile con l’upgrade direttamente dalla fabbrica. Modifiche pesanti: una testata con condotti ampliati, una puleggia del compressore ridotta dell’11% per aumentare la velocità, candele specifiche, un sistema di scarico migliorato e una centralina rimappata. Cavalleria di 211 cv, con livrea dedicata, targa motore numerata e un certificato firmato da Mike Cooper.

Ma tutto questo è solo un inizio, perché da qui in avanti i numeri crescono. Per esempio nel 2006 con il kit GP la potenza tocca i 218 cv : la macchina è alleggerita di 40 Kg grazie all’eliminazione dei sedili posteriori. E dall’anno dopo il marchio JCW si estende a tutti i modelli Mini: Cabrio, Clubman, Coupé, Roadster e Countryman, macchine che cartellano di brutto anche se hanno lo spazio dietro per il frigorifero e il cane. Con la GP che arriva fino a 306 cv.

John Cooper, l’innovatore di poche parole

Olaf Arndt via Flickr

Ma chi era John Cooper? Nato a Surbiton, Surrey, Regno Unito, è diventato una leggenda delle corse grazie a quella reintroduzione del motore posteriore che avrebbe cambiato il volto dello sport ai suoi massimi livelli, dalla Formula Uno alla 500 Miglia di Indianapolis.

Di fatto, è stato il team principal di una scuderia diventata celebre per essere stata la prima a vincere due titoli mondiali con una monoposto con motore posteriore, contribuendo al dominio britannico nella tecnologia degli sport motoristici.

Ricevette l’Ordine dell’Impero Britannico per i suoi servizi agli sport motoristici britannici e rimase a capo dell’attività di famiglia fino alla sua morte nel 2000.

Oggi nessuno pensa più di tanto al fatto che le monoposto di F1 abbiano motori montati posteriormente, tanto quanto non è una novità che abbiano freni a disco, telai monoscocca in fibra di carbonio o che altro. Si dice: sono fatte così. Ma, come si suol dire, non è sempre stato così.

Charles Cooper e suo figlio John riavviarono la pratica di posizionare il motore nella parte posteriore delle loro auto da corsa: in tipico stile britannico, Cooper aveva sempre minimizzato sulla decisione insistendo sul fatto che fosse una questione di praticità.

Charles Cooper gestiva un piccolo garage a Surbiton specializzato nella manutenzione di auto da corsa. Suo figlio John lasciò la scuola all’età di 15 anni per diventare un apprendista operaio e prestò servizio nella Royal Air Force. Dopo la guerra, lui e suo padre iniziarono a costruire semplici ed economiche monoposto da corsa, spesso utilizzando materiale militare in eccedenza. Fu una genialata: le loro macchine ebbero un enorme successo e divennero rapidamente molto richieste, tanto che nel 1947 fondarono la loro azienda, la Cooper Car Company

Il progetto originale per la prima auto da corsa Cooper con motore posteriore fu elaborato da Owen Maddock, un progettista della Cooper Car Company. Poiché l’auto era alimentata da un motore di una moto, lo misero nella parte posteriore, azionando una catena:

Quindi, quando abbiamo deciso di fare il nostro primo bolide, era semplicemente molto più conveniente avere il motore dietro, che azionava una catena. Di certo non sentivamo di creare qualche svolta scientifica!

“Per tutta la sua vita John Cooper raccontava sempre la storia allo stesso modo, con una voce cantilenante che manteneva ancora un leggero tono di perplessità, come se non riuscisse davvero a capire tutto quel trambusto”.
(David Tremayne, John Cooper. A Very British Marque, A Very British Man, 31/1/2001, grandprix.com)

Nei primi anni ’50 molti piloti inglesi iniziarono la loro carriera proprio al volante di una Cooper: leggende come Jack Brabham, Stirling Moss e Bruce McLaren.

Durante il Gran Premio degli Stati Uniti del 1959 a Sebring, John Cooper incontrò il pilota americano Rodger Ward, che, impressionato dalle sue auto, propose di testarle all’Indianapolis Motor Speedway: nell’autunno del 1960, Jack Brabham segnò un giro a 144,8 miglia orarie, segnando l’inizio della fine per le roadster a motore anteriore a Indianapolis.

Il resto, con la realizzazione delle versioni pepate della Mini Cooper, è storia presente.

Exit mobile version